sabato 3 novembre 2007

[Contributi] Evoluzione risolutrice...

Gaetano Barbella mi invia un capitolo aggiuntivo al precedente post.
Una prova scientifica a sostegno l'ipotesi sul «nocino della provvidenza divina».

4 LA FAUNA DI BURGESS
Tratto dal sito Polesine...e dintorni

LA PIKAIA IL PRIMO PROGENITORE DELL'UOMO

La Pikaia il primo cordato noto del mondo, dagli argilloscisti di Burgess. Si notino i caratteri propri del nostro phylum: la notocorda o corda dorsale, la formazione mediana che si evolse nella nostra colonna vertebrale, e le fasce di muscoli a zig zag.
Se le variazioni ambientali che fecero strage di organismi, 500 milioni di anni fa, non avessero risparmiato la Pikaia, oggi non ci sarebbero i vertebrati. E nemmeno l'uomo.


Noi siamo impressionati dal tirannosauro, ci meravigliamo per le piume dell'Archaeopteryx, ci entusiasmiamo per ogni frammento di osso fossile umano trovato in Africa, ma nulla di tutto questo ci ha insegnato sulla natura dell'evoluzione quanto un piccolo invertebrato del Cambiano, lungo solo pochi centimetri, chiamato Opabinia, rinvenuto a Burgess in Canada, in uno dei più preziosi giacimenti fossiliferi del mondo. Gli argilloscisti di Burgess sono diventati i protagonisti di una vicenda scientifica destinata a scardinare i capisaldi classici dell'evoluzionismo. Attraverso i fossili di Burgess, infatti, emerge l'ipotesi dell'evoluzione come da una serie improbabile di eventi, affiorano un mondo e una storia segreti che hanno del meraviglioso.

Attraverso loro si scopre così che la storia degli ultimi 500 milioni di anni ha presentato una restrizione di forme di vita seguita da una proliferazione all'interno di pochi tipi stereotipi, non un'espansione generale della varietà con aumento della complessità, come implica la nostra iconografia precostituita, ma una impetuosa iniziale avanzata della varietà anatomica che raggiunse un massimo subito dopo la diversificazione iniziale degli animali pluricellulari.
La posteriore storia della vita procedette per eliminazione, non per espansione. L'interpretazione del “cono” (o albero) della diversità evolutiva viene quindi rovesciato nella forma “a cespuglio” della diversificazione e decimazione.

Ma il modello dell'eliminazione di Burgess suggerisce anche un'alternativa veramente rivoluzionaria che è preclusa dall'iconografia del cono. Supponiamo che i vincitori non siano prevalsi grazie a una superiorità nel senso usuale. Forse la macabra mietitrice dei piani anatomici è solo la Signora Fortuna mascherata. O forse le ragioni reali di sopravvivenza non sono conformi alle idee convenzionali secondo cui sopravvivrebbero gli organismi più complessi, migliori o in qualche modo indirizzati verso l'uomo. Forse la macabra mietitrice lavora durante brevi episodi di estinzione di massa, provocati da catastrofi ambientali imprevedibili (per esempio innescate dall'impatto di corpi extraterrestri). Certi gruppi possono prevalere o estinguersi per ragioni che non hanno alcun rapporto con la base darwiniana del successo in epoche normali. Anche se i pesci migliorano gradualmente il loro adattamento fino a raggiungere culmini di grande perfezione in acqua, moriranno se lo stagno in cui vivono si prosciuga. Ma può accadere che quel vecchio fenomeno del Dipnoo, il sudicio e sgraziato pesce polmonato che era lo zimbello di tutti, riesca a sopravvivere, e non perché un'infiammazione su una pinna di suo nonno informò i suoi genitori dell'imminente arrivo di una cometa. Il Dipnoo e i suoi discendenti sopravvissero perché un carattere evolutosi molto tempo prima per un uso diverso gli permise fortuitamente di sopravvivere durante un mutamento improvviso e imprevedibile delle regole. E se noi siamo discendenti dei Dipnoo, e il risultato di un migliaio dì altri casi similmente fortunati, come possiamo considerare la nostra intelligenza inevitabile, o anche solo probabile?

Se l'umanità è sorta solo ieri “su un ramoscello secondario di un albero rigoglioso”, la vita non può, in alcun senso genuino, esistere per noi o a causa nostra. Forse noi siamo solo un ripensamento, una sorta di accidente cosmico, una decorazione appesa all'albero di Natale dell'evoluzione. Non il coronamento, dunque, della presunta tendenza dell'evoluzione protesa verso una sempre maggiore complessità di cui l'uomo rappresenterebbe l'apice e il traguardo, come vorrebbe la concezione antropocentrica.

Le conoscenze aperteci dall'evoluzione e ancor più dallo studio dei fossili di Burgess, impongono il rifiuto della tradizione che designa il nostro tempo come l'epoca dei mammiferi: questa è l'epoca degli artropodi. Essi ci sovrastano di gran lunga in numero da ogni punto di vista: per specie, per individui, per prospettive di proseguire sul cammino dell'evoluzione. L'80% circa di tutte le specie di animali classificate sono artropodi, con una grande maggioranza di insetti.

In altri termini, noi siamo un'entità improbabile e fragile, e il nostro successo fu dovuto a una serie di circostanze fortunate dopo inizi precari come piccola popolazione in Africa, e non è il risultato finale prevedibile di una tendenza globale. Noi siamo una cosa, un'entità della storia, e non un'incarnazione di princìpi generali.

Fra la fauna di Burgess fu trovato un organismo nastriforme compresso lateralmente, lungo circa 5 centimetri al quale fu dato il nome di Pikaia che dopo attenti esami venne classificato come cordato, un membro del nostro phylum: in realtà il primo membro documentato nel novero dei nostri progenitori diretti. La Pikaia è l'anello mancante e l'ultimo anello nella nostra storia della contingenza: la connessione diretta fra la decimazione di Burgess e la finale evoluzione umana. Se la Pikaia non fosse sopravvissuta (e al tempo della fauna di Burgess i cordati avevano scarse prospettive di sviluppi futuri) noi non saremmo apparsi nella storia futura: tutti noi, dallo squalo al pettirosso all'orangutang.

Se vogliamo quindi porci la domanda di sempre: perché esistiamo? una maggior parte della risposta, relativa a quegli aspetti del problema che la scienza in generale può trattare, dev'essere: perché la Pikaia sopravvisse alla decimazione di Burgess.

Oggi l'evoluzione non può più apparire come il regno della necessità e di un'ottimalità adattiva di tipo finalistico, ma come il risultato polimorfo e imprevedibile di percorsi contingenti, di adattamenti secondari e sub-ottimali, di bricolage imprevedibili. In una visione “epica” dell'evoluzione naturale (“le cose potevano andare diversamente”), contrapposta all'immagine “tragica”, provvidenzialistica o fatalistica (“le cose dovevano andare così”).

In particolare tutto il comportamento della natura dimostra la dialettica dei processi della vita e si comincia a diffondere nell'ambito scientifico la concezione per cui: allo stesso modo in cui esistono meccanismi che governano la materia organica ed inorganica, ne esistono altri che governano l'evoluzione delle società umane, in cui l'uomo (come specie) attraverso la sua attività interagisce con l'ambiente e la propria storia, diventando (con consapevole intelligenza?) il regista del proprio futuro, per il quale ci piace immaginare uno sviluppo positivo, anche se nelle infinite varietà possibili rimane il più improbabile. Il progetto non è semplice perché presuppone, come compito del genere umano, oltre alla capacità intellettiva, la maturazione della collaborazione collettiva verso uno sviluppo egualitario in tutto il pianeta, del quale sentirsi parte e non sovrani.

Se questa ipotesi sarà realizzata il genere umano compierà una nuova evoluzione sociale, in caso contrario prenderemo atto dell'opportunità offertaci da Pikaia, alla quale dovremo (umilmente) le nostre scuse.

Per avere maggiori informazioni sulla fauna di Burgess (qui sommariamente e approssimativamente esposte) consigliamo lo straordinario libro del biologo evoluzionista Stephen Jay Gould intitolato «LA VITA MERAVIGLIOSA» edito dalla Universale Economica Feltrinelli.

E qui si esaurisce la “leggenda” di Pikaia che tanto ci porta ad immaginare in che modo potè concepirsi l'uomo dei primordi, a livello dei cosiddetti «avatara», formulati dai sostenitori scientifici dell'ecosistema globale di Gaia. Ed è quanto basta per capire che, col profilarsi di una nuova emergenza catastrofica della Terra a causa dell'Effetto Serra, si faccia forte, nel mondo delle piante soggette alla «devastazione», un provvidenziale «nocino» della provvidenza divina. Quello postulato proprio per via profetica dall'Apocalisse di Giovanni apostolo.

Grazie Gaetano!

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2 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  2. Ciao Gianluca!
    Sono andata a vedere il tuo blog, devo dirti che ti sei presentato come meglio non si poteva. Il tuo ultimo post, sul GRANDE Enzo Biagi: come si poteva non apprezzare?
    Ma ho scoperto poi la tua età. E accipicchia, sei giovanissimo!
    E bravissimo! Complimenti davvero!
    Certamente meriti il link, visiterò il tuo blog con i miei ragazzi. Sei un bell'esempio!
    a presto! :-)

    RispondiElimina

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